Che c’entra il sistema nervoso con l’esperienza psichedelica?
Da qualche anno, anche grazie alla ricerca scientifica che si sta muovendo con sempre maggiore rigore, si parla sempre più spesso del potenziale terapeutico delle sostanze psichedeliche. Ma se c’è una cosa che chi lavora con queste esperienze impara presto, è che l’intensità non è sempre sinonimo di trasformazione.
Chi ha sperimentato stati espansi di coscienza lo sa: la visione può essere potente, la comprensione anche folgorante… ma poi?
Cosa ne facciamo di ciò che è emerso?
Come lo portiamo nella vita quotidiana, tra bollette, relazioni e le nostre fatiche interiori?
Uno degli elementi più sottovalutati ma fondamentali in questo processo è il sistema nervoso.
E soprattutto la relazione.
Perché regolare il sistema nervoso, spesso, è qualcosa che accade in due.
Ma andiamo con ordine: perché parliamo di sistema nervoso?
Ogni esperienza che viviamo passa attraverso il corpo.
E il corpo, per quanto saggio e plastico, ha dei limiti di tolleranza.
Quando uno stimolo è troppo intenso, come può essere una rivelazione psichedelica, un ricordo traumatico o anche un improvviso senso di espansione e apertura, il sistema può attivare delle risposte automatiche: congelamento, iperattivazione, dissociazione.
Queste reazioni non sono sbagliate. Sono il modo in cui il nostro sistema autonomo cerca di proteggerci.
Ma se non vengono riconosciute e integrate, rischiano di interrompere il potenziale trasformativo dell’esperienza.
Qui entrano in gioco la regolazione neurofisiologica e l’importanza del nervo vago: un grande nervo che connette cervello, cuore, polmoni, intestino e che regola il nostro senso di sicurezza, connessione e presenza.
La branca ventrale del nervo vago, in particolare, è associata a stati di calma vigile, apertura e contatto sociale.
È lì che il corpo ritrova le condizioni per accogliere ciò che è emerso, e non a caso, è proprio questa attivazione che accompagna le fasi più fertili del lavoro di integrazione.
Un alleato anche per la ricerca
Negli ultimi mesi, anche la ricerca scientifica ha iniziato a esplorare in modo più approfondito il legame tra psichedelici e sistema nervoso autonomo.
Uno studio recente di Li et al. (2025), ad esempio, mette in luce come durante un’esperienza psichedelica si attivino dinamiche complesse tra ramo simpatico e parasimpatico.
Si osserva spesso una fase iniziale di attivazione intensa, con frequenza cardiaca aumentata e ipersensibilità, che può però lasciare spazio a una seconda fase di apertura parasimpatica, legata a un aumento dell’attività vagale.
Questa seconda fase è associata a una maggiore variabilità della frequenza cardiaca, senso di connessione, sicurezza e disponibilità emotiva.
Per chi lavora con il corpo, questo non è sorprendente. Ma è prezioso vederlo confermato anche dalla letteratura scientifica.
Quando il sistema vagale si riattiva e il corpo percepisce sicurezza, si apre la possibilità di rielaborare.
Di trovare un significato.
Di lasciar sedimentare.
Ecco perché è fondamentale includere il lavoro sul corpo non solo nell’integrazione post-esperienza, ma già nella fase di preparazione e durante l’esperienza stessa. Perché le esperienze più intense trovano spazio solo in un sistema che sa come restare presente*
Pratiche somatiche: da dove si comincia?
La buona notizia è che possiamo allenare il nostro sistema nervoso a tollerare, sostenere e integrare anche le esperienze più intense.
E possiamo farlo partendo da piccoli gesti, spesso invisibili dall’esterno, ma profondamente trasformativi.
In Somatic Experiencing, ad esempio, lavoriamo con la capacità del corpo di autoregolarsi in modo naturale, accompagnando tensioni e rilasci in un ciclo continuo di carica e scarica, senza forzare, solo ascoltando.
Si lavora con micro-esplorazioni: una sensazione che si scioglie, un brivido spontaneo, un respiro che si amplia.
Nel modello NARM, invece, si guarda a come le nostre strategie di sopravvivenza, spesso apprese molto presto, influenzano il nostro modo di vivere e sentire.
L’integrazione passa da domande come: “cosa è diventato difficile sentire, quando è successo?”
In altre parole, come possiamo restare in contatto con noi stessi anche nel mezzo di esperienze forti?
Esempio clinico: quando il corpo cambia il finale
Un uomo, che chiameremo Marco, ha un’esperienza psichedelica in un setting terapeutico, ma entra in uno stato di intensa iperattivazione: tachicardia, respirazione accelerata, senso di perdita di controllo.
In quel momento, il suo sistema nervoso sta rivivendo implicitamente una vecchia esperienza di panico non elaborata.
Attraverso la guida del terapeuta, Marco viene accompagnato a portare l’attenzione su sensazioni più semplici e tollerabili.
Si utilizzano tecniche di titolazione, ovvero l’esplorazione graduale dell’attivazione, e di resourcing, cioè l’evocazione di immagini o stati corporei che gli trasmettono sicurezza e sostegno.
Poco a poco, Marco, rientra in contatto con quelle sensazioni, riconoscerle come parte di sé.
In seguito, durante il lavoro di integrazione, Marco descriverà quell’istante come un momento chiave.
Dirà: “È stato come riavere le chiavi di casa”.
Piccoli gesti, grande impatto
Molte delle pratiche più efficaci sono anche le più semplici.
Orientarsi nello spazio, ad esempio, guardando lentamente ciò che ci circonda, aiuta il sistema a percepire sicurezza.
Emettere suoni come un “voo” o un “mmm” profondo, secondo il lavoro di Peter Levine, stimola il nervo vago e favorisce uno stato di rilassamento e contatto.
Restare con il proprio respiro, senza modificarlo, permette al corpo di trovare un ritmo interno.
Muoversi lentamente, dondolarsi, allungarsi, o semplicemente toccarsi con consapevolezza, può cambiare la qualità della presenza.
Anche una mano sul petto, portata lì con attenzione e cura, può fare molto.
Preparazione, esperienza, integrazione: come si lavora
Nel tempo, ho imparato a osservare tre momenti chiave in cui queste pratiche possono fare la differenza.
Nella fase di preparazione, è importante riconoscere il proprio stato interno, individuare risorse affidabili, ampliare la finestra di tolleranza e chiarire l’intenzione, distinguendo tra un bisogno autentico e un’aspettativa adattiva.
Tutto questo crea un terreno sicuro da cui partire.
Durante l’esperienza, il corpo può essere un’ancora.
Restare con sensazioni semplici, emettere vocalizzazioni, procedere per gradi e, se in un setting guidato, affidarsi alla presenza regolata dell’altro, può aiutare a non perdersi.
Nella fase di integrazione, tornare al corpo attraverso gesti concreti come camminare, toccare materiali naturali o respirare profondamente, aiuta a dare forma a ciò che è accaduto.
Raccontare l’esperienza non solo con le parole, ma a partire da come si è sentita nel corpo, può essere un ponte verso una comprensione più profonda.
E se qualcosa resta indefinito, lasciarlo lì, senza forzare risposte immediate, può essere già un atto di integrazione.
A volte, ciò che riemerge durante un’esperienza espansa non è nuovo, ma qualcosa che un tempo è arrivato come troppo, troppo presto o troppo in fretta, per poterlo gestire.
E che allora il nostro sistema non ha potuto sentire, comprendere, sostenere.
Ecco perché l’integrazione non è solo un lavoro sul contenuto, ma anche sul contenitore: sul corpo, sul tempo, sulla relazione.
Perché ciò che allora è stato troppo, oggi può forse essere rivissuto, ma non più da soli.
Come dice Peter Levine:
“Il trauma non è ciò che ci è accaduto, ma ciò che tratteniamo dentro in assenza di un testimone empatico.”
E se questo testimone oggi, potessimo cominciare a diventarlo noi, per noi stessi e per gli altri?
Riferimenti bibliografici
Li, H., Wang, H., & Wang, X. (2025). Psychedelics and the Autonomic Nervous System: A Perspective on Their Interplay and Therapeutic Potential. ACS Pharmacology & Translational Science, 8(3), 899–902. https://doi.org/10.1021/acsptsci.5c00005
Porges, S. W. (2011). The Polyvagal Theory: Neurophysiological Foundations of Emotions, Attachment, Communication, and Self-regulation. Norton
Levine, P. A. (2010). In an Unspoken Voice: How the Body Releases Trauma and Restores Goodness. North Atlantic Books
Heller, L., & LaPierre, A. (2012). Healing Developmental Trauma: How Early Trauma Affects Self-Regulation, Self-Image, and the Capacity for Relationship. North Atlantic Books
Gorman, I., et al. (2021). Psychedelic Integration: An Analysis of the Concept and its Practice. Journal of Humanistic Psychology, 61(1), 71–102